QUESTA SÌ CHE È AMICIZIA: ANDARE INSIEME IN PARADISO!

Questo non è un commento del Vangelo della passione, che quest’anno leggiamo nella versione di Luca (capitoli 22 e 23). Mi limito a proporre qualche riflessione su due tra le tante scene che si succedono nel racconto. 
La prima è quella in cui Pilato, prima di prendere la decisione estrema che manderà Gesù a morire in croce, lo invia a Erode col pretesto che, essendo Gesù della Galilea, Erode è il suo re. Di fatto è un “re travicello”, privo di effettivi poteri. Lo spostamento da un palazzo a un altro non servirà a nulla, Erode pare interessato a Gesù solo nella speranza di vedere il presunto messia compiere qualche miracolo. Unico risultato pratico di questa andata e ritorno che è da allora Pilato ed Erode diventano amici. Ma che cosa è mai l’amicizia tra due potenti stretta sulla pelle di un innocente? È una storia vecchia quella di amicizie, alleanze, combutte, associazioni a delinquere e legami vari tra gente che conta, a cui non importa niente dei piccoli, dei poveri e degli oppressi. Anche quella volta andò così, come tante altre volte prima e dopo di allora: il ricco e il potente hanno una spiccata attitudine a pensare per sé e per quelli come loro, non necessariamente per fare un danno dei disgraziati ma semplicemente agendo come se non esistessero. Attingendo al campionario mass-mediatico, politico, sociale ed economico, c’è solo l’imbarazzo delle scelta per assegnare a questo o quel personaggio il ruolo di Erode e di Pilato. 
Cambiamo decisamente scena, arriviamo al momento in cui la condanna di Gesù è in fase di estrema esecuzione: è inchiodato a una croce insieme a due delinquenti comuni. Luca riferisce un dialogo a tre voci: il primo dei due compagni di agonia provoca Gesù: “Facci vedere che sei figlio di Dio, salva te stesso e anche noi”. Ben diverse sono le parole e i sentimenti dell’altro condannato: “Abbi rispetto di Dio! Noi meritiamo questa pena per le nostre malefatte, mentre lui è innocente”. E poi si rivolge al terzo compagno di condanna dicendo: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (solo quella volta, nel Vangelo di Luca, qualcuno lo chiama per nome). La risposta di Gesù è che quel giorno stesso saranno insieme nel paradiso. Questa sì che è un’amicizia, un legame, un incontro vero tra il Salvatore e un salvato. Sulla croce si crea una relazione eterna, benefica, da vivere in un luogo di beatitudine e di pace (il “regno”), che diventa legame tra chi si era spogliato del suo essere Dio per condividere tutto ciò che è umano (fino alla morte sulla croce), e il povero, il senza-potere, il malfattore che si meritava la morte e che però, prima di morire, è stato capace di uno slancio di amore, di uno spiraglio di verità, di percezione della pienezza della vita. 
Non è chiaro a cosa tendesse e su quali basi poggiasse l’amicizia tra pilato ed Erode, qui invece c’è davvero un diventare amici per vivere sostanza, la verità e lo splendore della vita. Sul Golgota avviene l’incontro trai partner di un patto di salvezza, tutti e due riscattati dalla morte in virtù dell’amore estremo di uno dei due, capace di morire chiedendo a Dio di perdonare i suoi persecutori. È la follia della croce, la speranza dei cristiani, l’ancora di salvezza che il Padre non vuol negare a nessuno dei sui figli. E il pensiero che dovrebbe accompagnarci è che nessun disperato, nessun reietto dagli uomini, nessun oppresso dai potenti o semplicemente irrilevante per loro sia definitivamente perduto. Anche se l’hanno già inchiodato a una croce.
Buona domenica delle Palme!