ZACCHEO: DAVVERO “NIENTE È IMPOSSIBILE A DIO”

Potremmo dire che l’episodio di Zaccheo raccontato da Luca è la presentazione personalizzata del testo di Col 3,1-17: in una persona concreta l’incontro con Gesù produce il passaggio dall’uomo vecchio con le sue azioni all’uomo nuovo, passaggio tanto più efficace, incisivo e notevole considerando la situazione di partenza. Sappiamo quanto in Luca sia segno di peccato e di distanza da Dio la ricchezza, tanto più se disonesta, come in questo caso. Eppure il cammello passa davvero per la cruna dell’ago (18,25). Zaccheo è la figura del peccatore convertito, la cui conversione testimonia che “ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio” (18,27).
Il racconto di Zaccheo (Luca 19, 1-10) è anche una sorta di compendio di tutti gli incontri con persone che Gesù accoglie, cura, risana, libera, perdona in forza della sua misericordia, che è tratto costante di tutto il Vangelo di Luca, l’evangelista che non a caso Dante Alighieri definisce “scriba mansuetudinis Christi”, lo scrittore della mansuetudine, della misericordia, dell’amore di Cristo.
Zaccheo, che ha tutto, sente di mancare della cosa più importante, per questo “qualcosa” di non ancora precisato lo spinge a voler vedere Gesù, chi è Gesù. E a Gesù sta a cuore proprio questo incontro personale …
Arturo Paoli ha osservato che di tutti gli incontri delle persone con Gesù, Zaccheo “è la sola persona … che prende l’iniziativa di incontrarsi con Gesù gratuitamente”, senza nulla da chiedere o da dire. E nel desiderio dell’incontro c’è “l’uscita da sé”, “l’interesse per l’Altro” che è una sorta di esodo personale, l’incontro” che ha il potere esclusivo e definitivo di liberarci dall’io”.
Zaccheo (attingo al commento di Silvano Fausti) è anche una sorta di contro/Adamo: l’albero su cui si nasconde diventa invece strumento di incontro e di salvezza. Zaccheo è il pubblicano perdonato a preferenza del fariseo (Lc 18, 9-14). Zaccheo è uno dei pochi chiamati per nome (5 in tutto) e uno dei quattro che chiamano Gesù per nome, prima di lui i lebbrosi e il cieco di Gerico, dopo di lui uno dei due malfattori crocifissi.
Zaccheo sa accogliere, la sua accoglienza è caratterizzata dalla fretta (la stessa fretta di Maria che va da Elisabetta, dei due di Emmaus che tornano a Gerusalemme...) di incontrare nella sua casa, dove Gesù si vuol fermare, stare.
Dio, che è pura e totale accoglienza, altro non cerca che di essere accolto, un’accoglienza vissuta non con timore o imbarazzo, ma con gioia: la gioia della liberazione che sta per compiersi: Zaccheo vedrà e saprà davvero chi è Gesù. E Gesù non dice niente, non gli fa la predica… dice tutto Zaccheo, un riconoscimento dei peccati che include già la “soddisfazione”, quella che noi chiamiamo e pratichiamo sbrigativamente come “penitenza”. Gesù si limita a certificare quello che è avvenuto: la salvezza. E proprio cercare e salvare ciò che era perduto è il compito di Gesù. Qui c’è chiaro collegamento e continuità con le tre parabole della misericordia (la pecora smarrita, la moneta ritrovata, il padre che accoglie il figlio “prodigo”), in ciascuna della quali il termine perduto ricorre due volte.
Torno al commento di Arturo Paoli: dietro l’incontro tra Zaccheo e Gesù risuona il grido dei poveri, di tutti quelli che sono stati ingiustamente spogliati. E quella di Zaccheo non è beneficienza, né soltanto rispetto di quanto la legge impone di restituire, ma creazione di un nuovo tipo di rapporti economici e sociali. “Zaccheo trasforma tutta l’aggressività in amore, in accoglienza, semplicemente accogliendo ... guardando sé stesso e la sua vita dalla parte di quelli che hanno subito ingiustizia. E l’Ospite mette il suggello a questa giornata, illuminando l’avvenimento e interpretandolo nel suo senso di grazia, di liberazione: Oggi la salvezza è entrata in questa casa ...”
La figura di Zaccheo ci suggerisce, come atteggiamento personale e dell’intera comunità, la necessità di sperare sempre e per tutti, di non considerare nessuno irrecuperabile. Gesù è veramente la manifestazione del “Dio amante della vita, che ha compassione di tutti e non disprezza niente di ciò che ha creato” (Sapienza 11,24-26).
L’antitesi di Zaccheo non è solo il fariseo, ma anche il giovane ricco, a cui Gesù chiede di rinunciare ai suoi beni prima di seguirlo. La nostra predicazione e tutto un modo di intendere la pastorale (incluso il modo con cui noi preti accogliamo le persone che vengono a confessarsi ...) rischiano di essere troppo aeree, intimiste, mirate sui peccati religiosi, individuali, sessuali... Proponiamo esami di coscienza “politicamente corretti” e quindi poco attenti ai doveri sociali ed economici, al coinvolgimento per il bene comune, al modo di possedere e usare il denaro e le cose, all’uscita da sé, all’accoglienza come qualità profonda, strutturante il modo di essere ...
Concludo con una domanda: chi potrebbe essere Zaccheo oggi, qualcuno che riteniamo ormai perso e su cui invece Gesù dice che vale la penna di scommettere? Ognuno provi a dare la sua risposta, a me sono venuti in mente i brigatisti che consegnarono le armi al Cardinale Carlo Maria Martini.

Don Antonio Cecconi