La candidatura di Emiliano Manfredonia al 26° congresso Acli

XXVI Congresso Nazionale ACLI relazione di candidatura Emiliano Manfredonia

Care delegate e cari delegati,
è nella nostra responsabilità decidere di usare parole buone o cattive. Esistono parole amiche che incoraggiano e parole che dividono e fanno male. Oggi voglio condividere con voi parole che curino, sostengano, accompagnino, aprano porte e riconcilino.
Questo faticoso percorso congressuale ci ha visto pronunciare molte parole. Tante sono state usate per sollecitare, animare, spiegare. Tante altre sono state utilizzate per accusare, ricorrere e ingarbugliare i percorsi. Per allontanare le persone. È il momento di ascoltarci. La stagione congressuale, costretta a ritardi da questa pandemia, ha generato riflessioni, incontri e proposte arrivate soprattutto dai congressi territoriali, ma anche dal programma avanzato da Roberto, dalle idee che ho contribuito a promuovere con Acli al futuro, le idee che gli amici del Trentino hanno suggerito prima del proprio percorso congressuale e quelle di Acli di comunità. Un fermento che dovrà trovare cittadinanza ed essere valorizzato.
Dobbiamo tornare a parole buone, dovremmo prima di tutto reimparare ad ascoltare. Fare silenzio davanti al “mistero” dell'altro.

Mi sa dire a che ora apre il circolo?
una associazione tra realtà e virtualità

Vicino a casa mia c'è un circolo Acli, non lo frequento, non mi ci sono mai “trovato”, come sanno quelli che hanno letto “Vite in circolo”, il mio è un altro. Ma ogni giorno per tornare a casa ci passo vicino. In questi giorni di “seconda ondata” le sue saracinesche sono chiuse, mentre i bar del paese sono aperti, con la gente in strada a conversare e bere il ponce. Davanti al circolo spesso c'è un uomo anziano seduto che poggia le mani e il mento al proprio bastone, come a caricarci tutti i propri anni. Un giorno, incuriosito, mi sono avvicinato e provocatoriamente ho chiesto: "mi sa dire a che ora apre il circolo?". “Ma che, nini (giovane ragazzo), l'hanno chiuso per il Covidde, che 'un lo sai?”. E 'iniziata così una lunga chiacchierata.
Per quest'uomo, come per tanti, il circolo è sempre stata una casa dove dar vita ed anima al tempo dell'impegno e dello svago, del confronto e del divertimento: il luogo della responsabilità e della partecipazione. Il circolo si sceglieva e si sceglie perché lì la relazione era ed è ancora importante: necessaria per costruire il bene comune.
In questi anni siamo stati troppo timidi con la politica - fatta eccezione per tanti territori e per il lavoro di pressione fatto come Terzo settore - e nelle nostre azioni di mobilitazione, rispetto allo scandalo della chiusura delle nostre strutture territoriali. Certo non tutto ruota intorno a noi: ma ci vogliamo chiedere cosa resterà delle nostre comunità grandi e piccole senza questi presidi? La necessità quotidiana della socialità è legata anche a queste forme d'incontro. Senza relazioni e solidarietà umana non vive nulla e come nel corpo umano il corpo sociale in alcune sue parti rischia di entrare in una sorta di necrosi. C'è una tessitura feriale della socialità non disgiunta da un'opera di solidarietà e inclusione, che si perpetua da sempre in silenzio e lontano dai riflettori. C ' è bisogno che le esperienze di prossimità di cui siamo portatori si consolidino e si moltiplichino. Da quelle che contrastano la cultura dello scarto a quelle, da noi pur sperimentate nel periodo più buio della crisi sanitaria, di lotta alla povertà alimentare. A ciò sono dedite le associazioni di Terzo settore, presenti spesso in piccoli comuni, in borgate o quartieri dove esiste poco o nulla d'altro. Associazioni che devono recuperare anche spazio di senso nelle periferie delle nostre città. in borgate o quartieri dove esiste poco o nulla d'altro. Associazioni che devono recuperare anche spazio di senso nelle periferie delle nostre città. in borgate o quartieri dove esiste poco o nulla d'altro. Associazioni che devono recuperare anche spazio di senso nelle periferie delle nostre città.
Durante questo periodo di emergenza l'uso dei social è stato fondamentale. Ma, nello stesso tempo, abbiamo avvertito il rischio reale di rimanerne invischiati: in qualche modo prigionieri della virtualità. I social tendono a generare disintermediazione, a costruire collegamenti privi di relazioni di socialità e generatori di nuove forme di solitudine. Nel futuro dovremo ridare valore ai rapporti di vicinanza, valorizzare la realtà riportando al centro il rapporto con l'altro. Trovare un equilibrio tra virtualità e realtà sarà fondamentale per costruire forme di condivisione e di crescita e sviluppare unsenso del fare insieme: un collaborare per fare meglio. Dovremo usare i social per convocare, informare bene, costruire pensieri positivi.

Questa non me l'aspettavo
nelle trasformazioni del tempo le Acli che vorremmo
"Nini, io ne ho viste tante ma questa non me l'aspettavo, questo virus cinese, una sciagura per tutte queste botteghe!" Ecco parole di verità nella loro semplicità. Rispondo: “Nessuno di noi era preparato a questo tempo, eppure sapevamo che si tirava troppo la corda”.
Non possiamo scollegare le nostre riflessioni dal tempo che stiamo vivendo. Le fragilità nelle quali siamo tutti immersi, pur facendoci vedere un po 'di luce grazie alle cure, alle azioni di distanziamento e soprattutto al vaccino, ci hanno fortemente segnato ed hanno evidenziato alcuni rischi e pericoli ai quali guardiamo con preoccupazione.
Abbiamo assistito in questi mesi, ad esempio, al crescere di un accentramento nella catena decisionale: l'emergenza sanitaria ha prodotto in Parlamento un eccessivo ricorso alle decretazioni d'urgenza. Potremmo dire, parallelamente che, nel sistema dei partiti, si va imponendo un altrettanto eccessivo personalismo, leaderismo, spesso infarcito di populismo. Uno dei rischi in questo tempo, cresciuto nell'ultimo ventennio, è proprio la personificazione. La trappola è quella di cadere nell'assecondare e nel volersi riconoscere nel volto di qualcuno: anche noi non siamo avulsi da questo pericolo.
A seguito dell'ultima crisi di governo, un ulteriore elemento di preoccupazione è quale sarà il destino del nostro paese. Come Acli dovremo provare ad aprire, con altre organizzazioni sociali, un tavolo di confronto con il governo che ci consegni un nuovo protagonismo. Chiederemo al Presidente del Consiglio di ridare alla politica, che è democrazia, il ruolo che merita, che non può essere subalterno alla finanza ed all'economia. Bisogna rimettere nuovamente al centro del dibattito politico ed associativo il tema dei beni comuni: la salute, l'istruzione e la ricerca. Ci si è svegliati tardi una denunciare i deficit ei ritardi dei livelli essenziali delle prestazioni previste dalla nostra Costituzione su questi e altri diritti
Tra le eredità di questo tempo, non ancora passato, c'è un ritrovato sentire europeista. Fino a pochi mesi fa il tema dell'unità europea era divisivo; i sovranisti sembravano avere il meglio su anni di storia dell'Unione, cavalcando la rigidità del sistema economico imposto dalle ferree normative comunitarie. La Brexit sembrava essere il primo tassello di ciò che poteva avviare la fase di disgregazione del sogno europeo. Ma la realtà, ancora una volta, ha superato le idee. Ed oggi nonostante alcuni tentativi di far passare una opportunità come il MES alla stregua di una burocrazia di palazzo, il sentimento europeo ha ripreso vigore. Oggi abbiamo molte sfide da combattere insieme: la salute e la sanità, l'ambiente, la disoccupazione giovanile di cui il piano Next GenerationEU potrà diventare una prima grande risposta:
Parlare di giovani è rivolgere lo sguardo al futuro. Preoccupa il “tema dell'inverno demografico”. Il tasso di mortalità supera, nel nostro paese, quello delle nascite. Senza un serio piano di politiche famigliari non riusciremo a fermare questo declino. Per questo ritengo che si debba affrontare prima di tutto il tema della natalità. Il tema della vita, di come la si promuove (asili, scuole), di come la si difende (sanità, sicurezza sociale), di come la si possa sostenere (lavoro, mobilità, cura).
Questo quadro ci rappresenta un paese che necessita di profonde e strutturali riforme per evitare che il populismo soggioghi e sovrasti la politica e che si camuffi con il popolarismo, che fa parte della nostra storia. Occorre uno sguardo lungo, che è il contrario del vivere sulle contingenze e sull'emergenza, per immaginare il futuro.
Per noi che non siamo collaterali ma facciamo politica, servono Acli libere e competenti che si impegnino per ritessere il rapporto tra i cittadini, le istituzioni e la politica. In questo senso dovremo rafforzare ulteriormente la nostra Fondazione Achille Grandi che deve tornare ad essere un luogo di confronto, formazione, scambio ed elaborazione a servizio non solo degli amministratori "aclisti" ma di chi si ispira ad una buona politica solidale e in dialogo come indicato dalla Fratelli tutti di Papa Francesco. Abbiamo grandi responsabilità come movimento educativo e sociale: in occasione dei due referendum costituzionali, le Acli si sono fatte promotrici di un confronto tra le diverse opzioni. Oggi, anche se la cosa può sembrare distante anni luce dagli interessi quotidiani delle persone, dovremmo essere lungimiranti e promuovere un “Laboratorio permanente per le riforme” che dal basso si impegni per studiare, elaborare e proporre riforme che non siano un maquillage, ma che descrivano una vera e propria ristrutturazione istituzionale, sulle salde fondamenta della parte prima della nostra Costituzione . Dobbiamo tornare a promuovere tavoli, a costruire ampie alleanze sociali e politiche per far sì che le riforme, di cui ha bisogno il paese, nascere fuori da un contesto di mera opportunità di parte e dentro una grande compartecipazione popolare.

La politica la facciamo anche noi
per una associazione che serve
“Sai Nini, cosa mi manca di più del circolo? Le chiacchiere. Certo che si alzava la voce ma del resto con questa politica che vuoi fare! "Beh non mi faccio trascinare in questa discussione." La politica la facciamo anche noi quando lavoriamo per il bene comune. "Mi guarda, con quello sguardo stupito di chi non sa se sta parlando con un matto o un idealista.
Come farlo? Quali mezzi utilizzare? La risposta è nello stesso tempo semplice e difficile: noi siamo il mezzo. Che sia un circolo, una struttura dove si pratica lo sport con l'USAcli, che sia un teatro con Acli arte e spettacolo, o uno sportello di Caf, Patronato, AcliTerra, CAA o nell'esperienza associativa di AcliColf o ancora nelle aule Enaip dove formiamo i ragazzi, nelle cooperative o fondazioni che ancora oggi portano il nostro nome. Questi sono i nostri “luoghi della realtà”. Luoghi dove le persone s'incontrano, esprimono bisogni, si relazionano, domandano risposte, promuovono dibattiti, chiedono ascolto: qui entra la vita. Partire da questa realtà per noi è un dovere civico, oltre che una opportunità sul quale rifondarci1.
Tutti i nostri servizi hanno riacquistato una maggiore centralità nella infrastrutturazione del sistema di welfare del Paese. Questo impone due riflessioni.
Troppo spesso i dirigenti politici, a tutti i livelli, sono sopraffatti da problemi pratici di gestione che talvolta li obbligano a tralasciare il ruolo di guida e di indirizzo politico. Ruolo che richiede chiarezza di obbiettivi, visione e capacità di trasformare le domande dei cittadini in risposte. Questo presuppone formazione e cura dei dirigenti: per imparare a leggere, interpretare e guidare i processi gestionali e politici incarnati nella missione e nei valori associativi. Le nostre imprese devono diventare sempre più “servizi che servono”: spazi aperti e opportunità. Tutto questo si dovrà unire alla capacità delle strutture nazionali di accompagnare processi di protagonismo territoriale.
La seconda riflessione riguarda le nostre strategie nel promuovere la nuova progettualità sociale: è nel DNA associativo la capacità di avviare servizi e partecipazione che possono diventare nuove forme di adesione, coinvolgimento e contatto con le persone. Oggi la persona ha bisogno di essere tutelata ed assistita nel campo dei servizi, delle utility. È lì che dobbiamo guadagnarci uno spazio d'impresa che sappia mediare l'interesse del singolo con le mille proposte del mercato. Che sappia educare anche ad un consumo critico e consapevole. Ed ancora dobbiamo tornare ad essere incubatore d'impresa, che necessariamente non vuol dire gestire ma promuovere, accompagnare percorsi per giovani che vogliono far nascere imprese di comunità generative anche per le loro comunità.

Dobbiamo tornare ad avere grandi ambizioni. Un lavoro significativo è stato fatto rimettendo in rete la realtà di cooperazione sociale e non solo del nostro sistema e costruendo insieme un approccio strategico orientato a fare impresa in modo popolare e partecipato, convocando le comunità nel proprio essere e fare sociale e orientandosi non a un ruolo passivo, ma a creare mercato ea ri-capacitare le istituzioni nel fare politiche veramente pubbliche, eque e universalistiche co-programmate insieme al Terzo settore ea tutti gli attori della collettività. Nel piccolo laboratorio di Acli fare Welfare in questi anni abbiamo lanciato alcune provocazioni che stanno diventando strumenti operativi come la creazione di una mutua sanitaria, l'apertura di sportelli per sostenere chi vive l'esperienza del sovraindebitamento, per arrivare fino al progetto “Snowdrop” per aiutare chi può essere pignorato della propria casa o impresa. Insieme ad Acli Terra e CAA dobbiamo definire le operazioni per promuovere un CAF Imprese. E ancora tante idee, tanti spazi da colmare.

Due lauree e non trova lavoro
quale modello sociale?
Sembra che il mio amico mi abbia ascoltato, ma un velo di malinconia si posa sul suo volto rugoso. Mi racconta del figlio disoccupato, dei nipoti… un giovane “genio” che vive all'estero. E chi sa quando di questi tempi potrà vederlo. E l'altra nipote, una ragazzina “vispa” dice lui, con due lauree che non trova lavoro, un po 'perché donna, un po' perché non si arrende alle schiavitù che le offrono. “Nonnino, ce l'hai la mascherina mentre parli con gli estranei?”. Mi volto e la vedo. Capelli lunghi e neri. La mascherina che le copre il volto. E ci sorride mentre se ne riparte con la sua biciletta ed il giubbotto con scritto deliveroo…
È tempo che il lavoro ritorni al centro delle politiche, dello studio e delle proposte delle Acli. Tra i nostri fondatori ci sono dei padri della Repubblica, estensori della Carta Costituzionale. Il lavoro è l'essenza della nostra Repubblica democratica e garantisce la coesione sociale. È dignità della persona: per questo va promosso e garantito per dare ad ognuno speranza e futuro.
Oggi si teme che finita l'emergenza sanitaria, venendo meno il blocco dei licenziamenti, si determini uno tsunami sociale. Ma in realtà di tsunami silenziosi se ne sono già avuti diversi in questi mesi e negli ultimi anni, e noi abbiamo fatto poco per denunciarli. I quasi 500.000 posti di lavoro persi dall'inizio della pandemia sono quelli dei giovani, dei precari, delle donne, anche mentre vigeva il divieto di licenziamento. Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Se pensiamo al mondo giovanile non possiamo che constatare una serie di difficoltà e storture che preesistevano e che sono state soltanto acuite dal Covid. I nostri giovani entrano tardi nel mercato del lavoro, accettando molte volte di sfruttamento, sottopagate e troppo spesso al di fuori delle proprie aspirazioni.
Non è certo attraverso il reddito di cittadinanza che si risolveranno i problemi del lavoro. L'incontro domanda offerta, quella che si vuole curare con i navigator, è solo una parte del problema che in realtà parte dal sistema educativo, di istruzione e formazione, dalle opportunità di formarsi anche in impresa e di una formazione continua nell'arco della vita lavorativa. È necessario orientare gli investimenti, attrarli e qualificare la spesa pubblica. Soprattutto ora, con le risorse messa a disposizione dell'Europa2.


L'Italia, poi, per quanto riguarda le politiche attive del lavoro, si è sempre distinta per livelli di spesa pubblica ben al di sotto della media OCSE, e soprattutto inferiori rispetto alle politiche passive implementate. Oggi la spesa per le politiche passive supera il 75% della spesa complessiva per il lavoro e quello che residua è investito spesso maschile, in incentivi monetari che non stimolano la crescita ma intervengono solo sulla superfice del problema. Spesso gli investimenti si rivolgono solo a un mero bonus per favorire quella o l'altra categoria di disoccupato, quasi mai incidono in modo concreto nelle politiche attive del lavoro, come mezzo per sostenere la buona occupazione e lo sviluppo. Servono strumenti di potenziamento delle occasioni di incontro fra domanda ed offerta di lavoro. Nuove infrastrutture fisiche e digitali,
Dallo sviluppo e dal lavoro dipenderà anche il futuro del sistema di welfare nel nostro Paese. Sanità, istruzione, assistenza, previdenza dipendono e dipenderanno da quanto valore riusciremo a costruire ed esprimere in termini di crescita economica e coinvolgimento-attivazione delle energie dei lavoratori, soprattutto dei più giovani, oggi spesso tenuti ai margini.
Dall'altra parte, proprio quando l'economia è più fragile nel nostro paese si espande il rischio di cadere nella rete degli usurai, delle "banche del malaffare". Si rischia di dare occasione alle feroci associazioni criminali di mostrare un volto buono, distribuendo alimenti, prestando soldi nell'emergenza, che destabilizza nelle fondamenta lo stato di diritto.
La mafia è una delle sorelle maggiori della povertà; infatti, uno dei nuovi terreni di conquista è l'usura. Attraverso lo strozzinaggio e tutte le azioni della criminalità organizzata la mafia continua ad aumentare così tanto la quantità di liquidità da indurci a pensare che potrebbe persino fondare una propria banca, con tutto quello che ne consegue. Occorre dunque trovare una risposta comune attraverso la condivisione di un'etica capace di rinnovarsi. Ciò mediante una costante cultura di contrasto all'illegalità, di vera e propria organizzazione di antimafia sociale, attraverso cui raggiungere ogni cittadino - sin dai banchi delle elementari - in una delle battaglie più difficili del nostro Paese, come dichiarava il Giudice Livatino, la cui cerimonia di beatificazione sarà svolta probabilmente nella primavera del 2021 ad Agrigento. La mafia tutti riguarda perché è come un cancro all'ultimo stadio che riesce ad entrare in tutti i settori della società e che distrugge tutto, compresa la speranza. Calpesta ogni diritto, facendo vincere la sopraffazione e la corruzione perché è capace di dissipare ogni risorsa destinata ai cittadini. Inoltre, scombina ogni regola di mercato, favorendo la violenza e le corporazioni e penalizzando le persone oneste e capaci3. E se le mafie sparano meno rispetto al passato, ciò è solo determinato dal fatto che si trovano più consensi in una società sempre più disponibile ad interloquire con loro piuttosto che a contrastarli. Il silenzio e facendo vincere la sopraffazione e la corruzione perché è capace di dissipare ogni risorsa destinata ai cittadini. Inoltre, scombina ogni regola di mercato, favorendo la violenza e le corporazioni e penalizzando le persone oneste e capaci3. E se le mafie sparano meno rispetto al passato, ciò è solo determinato dal fatto che si trovano più consensi in una società sempre più disponibile ad interloquire con loro piuttosto che a contrastarli. Il silenzio e facendo vincere la sopraffazione e la corruzione perché è capace di dissipare ogni risorsa destinata ai cittadini. Inoltre, scombina ogni regola di mercato, favorendo la violenza e le corporazioni e penalizzando le persone oneste e capaci Il silenzio e facendo vincere la sopraffazione e la corruzione perché è capace di dissipare ogni risorsa destinata ai cittadini. Inoltre, scombina ogni regola di mercato, favorendo la violenza e le corporazioni e penalizzando le persone oneste e capaci Il silenzio e facendo vincere la sopraffazione e la corruzione perché è capace di dissipare ogni risorsa destinata ai cittadini. Inoltre, scombina ogni regola di mercato, favorendo la violenza e le corporazioni e penalizzando le persone oneste e capaci. E se le mafie sparano meno rispetto al passato, ciò è solo determinato dal fatto che si trovano più consensi in una società sempre più disponibile ad interloquire con loro piuttosto che a contrastarli. Il silenzio l’omertà, che non accennano a diminuire e che aleggiano a tutti i livelli, uccidono talvolta più della malavita.
Possiamo parlare di un assordante silenzio e omertà anche quando affrontiamo un altro tema di primaria importanza: l'immigrazione. La contraddittoria definizione di "assordante silenzio" è dovuta al fatto che nell'ultimo decennio una certa politica ha fatto campagna elettorale sul fenomeno della mobilità umana, facendo un gran rumore per accaparrarsi qualche voto in più e diffondendo nelle persone la paura dell'invasione. Ma allo stesso tempo, abbiamo assistito al silenzio più totale di fronte alle migliaia di persone morte nel nostro mare Mediterraneo o nei boschi dei paesi Balcani a pochi chilometri dai confini italiani. È stato più volte dimostrato come il mix della chiusura e dell'esternalizzazione delle frontiere portate avanti dall'Unione Europea non porta risultati, ma solo disastri. Infatti, da una parte, le persone che fuggono da guerre, violenze, regimi dittatoriali o anche solo semplicemente dall'estrema povertà, non si fermeranno davanti alla chiusura di una o più frontiere. Dall'altra parte, se per un verso spostare i confini bloccherà momentaneamente l'ingresso in una determinata regione dell'Europa, si aprirà automaticamente un nuovo varco. Non è un caso che gli attraversamenti nella zona dei Balcani per raggiungere la "civile e democratica" Europa, tra gennaio e aprile 2020 hanno subito un'impennata notevole, aumentando del 60% rispetto al 2019. Dobbiamo ringraziare il lavoro prezioso della nostra ong IPSIA che da anni si impegna proprio in questa regione del mondo. se per un verso spostare i confini bloccherà momentaneamente l'ingresso in una determinata regione dell'Europa, si aprirà automaticamente un nuovo varco. Non è un caso che gli attraversamenti nella zona dei Balcani per raggiungere la "civile e democratica" Europa, tra gennaio e aprile 2020 hanno subìto un'impennata notevole, aumentando del 60% rispetto al 2019. Dobbiamo ringraziare il lavoro prezioso della nostra ong IPSIA che da anni si impegna proprio in questa regione del mondo. se per un verso spostare i confini bloccherà momentaneamente l'ingresso in una determinata regione dell'Europa, si aprirà automaticamente un nuovo varco. Non è un caso che gli attraversamenti nella zona dei Balcani per raggiungere la "civile e democratica" Europa, tra gennaio e aprile 2020 hanno subìto un'impennata notevole, aumentando del 60% rispetto al 2019. Dobbiamo ringraziare il lavoro prezioso della nostra ong IPSIA che da anni si impegna proprio in questa regione del mondo.
Che sia nel mare o nei boschi, la mancanza di umanità regna dunque sovrana, nel silenzio della politica nazionale ed europea. L'idea di avere in Europa un cimitero in cui affogano migliaia di migranti è inconcepibile. Ma al peggio non c'è mai fine. Sulla rotta balcanica, oltre al fatto che sono lasciati morire di freddo e di stenti uomini, donne e bambini accettano che, all'interno del perimetro europeo, questi possono essere malmenati, torturati e derubati dei loro ultimi averi, senza che nessuno batta ciglio : né i comuni cittadini, né i governi coinvolti singolarmente, né l'Unione Europea.
Che si parli dunque della rotta marina o di quella terrestre, è stato ampiamente dimostrato come il concetto di esternalizzazione delle frontiere - unica proposta attualmente presente sul tavolo dell'UE - sia fallimentare perché ipocrita e inutile. Infatti, spostare le frontiere migliaia di chilometri dal fortino Europa non ci esime dall'assolvere al nostro obbligo morale di salvare vite umane e non impedirà alle persone di muoversi, perché la mobilità è l'unica cosa che rimane loro per una vita migliore.
Se si chiudono i porti, se si vieta di fare salvataggio a chi è rimasto da solo in mare quale sostituto di Frontex, si mettono in atto politiche di chiusura nei nostri paesi in cui il diritto di asilo dovrebbe essere garantito, significa che l'Unione Europea abbandona queste persone nelle mani di Paesi in cui, per la grave crisi sociale ed economica che vi regna, i diritti dell'uomo non sono garantiti e le politiche di accoglienza non sono contemplate, che sia in Libia, nel continente africano o nei Balcani , nel continente europeo.

Europa, dove sei? Ti sei dimenticata che sei stata fondata sui diritti degli esseri umani proprio all'indomani di una delle ferite più profonde della storia del secolo scorso? L'Unione Europea, onde evitare che lo spostamento di migliaia di persone diventi una partita di ping-pong umana - e pazienza se ogni tanto la pallina cade - proprio sui suoi principi di libertà, democrazia e rispetto dello stato di diritto, si doti di una politica migratoria strutturale ea lungo termine per affrontare un fenomeno che non si arresterà nel prossimo futuro. L'UE mostri coraggio e metta al centro della sua politica migratoria i diritti umani, a partire dal superamento dei Regolamenti di Dublino e da procedure meno burocratiche per l'accoglienza e l'integrazione. Non prima però di avere stretto un patto di condivisione sulla questione immigrazione fra tutti i paesi dell'Unione, da quello più coinvolto per posizione geografica a quello più periferico. L'Italia su questo tema, vera protagonista per la sua ubicazione, ha una grande responsabilità e le associazioni come la nostra, attiva da un punto di vista culturale e politico (attraverso le diverse reti di cui fa parte) e di azione sociale (medianti i diversi progetti sviluppati sul territorio a favore dei migranti) ha un ruolo di primaria importanza che la deve indurre a pungolare continuamente le istituzioni locali, nazionali ed europee.
Questo ragionamento di prospettiva, in una discussione a trecentosessanta gradi, non può non tener conto della questione del lavoro. Non si può parlare di lavoro senza vita la mobilità internazionale. Questo nel passato ha interessato un'emigrazione italiana che poi ha favorito anche il nascere della nostra associazione in molti paesi. Ma è ancora oggi la partenza di tanti giovani italiani che rischia di impoverire la nostra terra di menti brillanti e di famiglie (ricordiamo la recente ricerca della FAI sulla mobilità delle famiglie italiane), e solo perché non riusciamo a costruire opportunità all'altezza degli studi , delle aspettative di questi ragazzi. Ogni anno una media città italiana parte per la grande regione dell'estero. Ci aspettano tante sfide con gli amici della Fai per rispondere in modo efficace alle richieste della nuova emigrazione e per rappresentare gli expat, per i quali sarebbe auspicabile la realizzazione di una cittadinanza europea, intesa come comune destino degli italiani in Europa e nel mondo. La Fai dovrà riorganizzarsi per mediare tra le varie realtà territoriali mettendo in dialogo le competenze necessarie per sviluppare sinergie tra i servizi attivi e l'associazione, per preparare studi e letture del fenomeno migratorio dei nostri connazionali e per poter mettere in rete le buone prassi, le idee e provare a fare progetti insieme.

Cosa provo a fare
Acli verso un nuovo patto
Confesso al mio interlocutore il mio ruolo e cosa provo a fare alle Acli. Alza il mento come per iniziare a parlare, mi guarda… ma poi poggia di nuovo la testa e tutti i suoi anni sul bastone.
Oggi più che mai ci aspettano sfide autentiche. La portata dei problemi dell'umanità possono spaventarci ma ci riguardano e ci interpellano tutti. Fare associazione, animare una riunione, vivere i contesti difficili delle nostre comunità devono darci l'energia necessaria per trovare la linfa vitale del nostro essere aclisti.
Mi aspetto in questi anni un grande sforzo complessivo per imparare ad ascoltarci e metterci in relazione con i territori. Abbiamo quindi bisogno di un organico progetto culturale, fondato su un rinnovato Patto associativo per scegliere cosa conta davvero e cosa è superfluo, per essere presenti con efficacia ed empatia sociale nei luoghi di vita e di ritrovo delle comunità. Ad avvio di questo processo dobbiamo ritornare ad interrogarci partendo dalle nostre storiche fedeltà, attualizzandole e ri-declinandole nelle sfide del tempo. Quali legami tra fede e democrazia, tra democrazia e lavoro e tra il lavoro e la fede? Non pretendo di avere le risposte. Mi domando: qual è l ' essenziale che ci portiamo dietro per far sì che la nostra ricerca di fede possa illuminare le strade del lavoro? Che postura avere in questo mondo del lavoro così malato? Come il lavoro spezzato, fragile, sottopagato può coniugarsi con un alto livello di democrazia? Come la democrazia può essere al servizio della nostra idea di città dell'uomo?
Per farlo dobbiamo dotare le nostre strutture di base di nuovi strumenti, che non siano solo fogli da riempire ma pagine da scrivere; e dobbiamo investire sullo sviluppo associativo percorrendo strade inedite e nuovi modi di impegno.
A giugno dovremmo approvare ed applicare una riforma organizzativa che ormai attendiamo da troppi anni. Lungi da me entrare in argomenti troppo tecnici in una relazione ma ritengo ci debbano essere almeno tre obbiettivi.
Nel gioco delle geometrie associative e nell'architettura statutaria, dobbiamo capovolgere la piramide organizzativa: la base in alto ed il vertice in basso. Oggi l'organizzazione è troppo verticistica: il Presidente, per responsabilità e per tradizione è vissuto come vertice, mentre invece dovrebbe essere parte di un tutto, con la gravosa responsabilità di girare il delicato meccanismo delle relazioni. Deve attrarre “consenso” cioè comune sentire, favorire il maggior accordo. Diverso dall'uniformare e lontano dal decidere da sé perché investito di poteri di sintesi. Questo obbiettivo si potrà riformulare andando a toccare la formazione degli organi e la modalità di voto.

La seconda necessità scaturisce dalla prima ed è la costruzione di un modello associativo più a rete, più orizzontale a partire dall'esperienza dei servizi e dalle connessioni con le associazioni specifiche e professionali. Trasformare la sede nazionale in un servizio che: aiuti i territori ad esprimere i propri potenziali, coordini attività formative diffuse, diffonda buone prassi e rafforzi le competenze; sede di una rete per la progettazione, affinchè le Acli possono esprimere la loro azione sociale anche attraverso una crescita consistente di progettazioni coordinate. Un livello nazionale che: favorisca la creazione di reti tra le associazioni, abbia cura dei territori più in difficoltà promuovendo anche gemellaggi, garantisca una giusta perequazione tra i territori, in particolare quelli del nostro Mezzogiorno. Far sparire la parola commissariamento e sostituirla con accompagnamento. Tutto questo dovrebbe essere integrato con la necessità di essere una rete associativa nazionale secondo quanto promosso dalla legge sul Terzo Settore.
Dobbiamo rendere sostenibile il lavoro nei territori. Urge rafforzare l'organizzazione specie nelle province, in coordinamento con i regionali, per garantire a molti di poter fare i dirigenti conciliando impegno e responsabilità con il lavoro e la famiglia e per garantire a circoli e associazioni di trovare lì la nostra rete nazionale di assistenza , formazione, progettualità e sinergia con le nostre imprese e servizi. Imprese e servizi che devono tornare a fare associazione nel senso che sono sempre più chiamate a coinvolgere e rendere i cittadini, i lavoratori e le comunità azioniste popolari, se veramente vogliamo essere sociali e innovativi. Tornare a creare associazione e mutuo aiuto, in modo libero e aperto in tempi di solitudine e crescenti distanze,
Queste scelte ci chiedono, in ultimo, di essere più movimento e meno organizzazione. Essere capaci di far innamorare le persone dei nostri obbiettivi, coinvolgerle nelle nostre azioni sociali. Semplificare, e rendere accessibile a tutti fare associazione senza diventare burocrati. Avere la capacità di attrarre uomini e donne che possono aiutare semplificando alcune incompatibilità ma soprattutto aprendoci ad esperienze e forme di impegno nuovi. Continuare ed implementare la nostra attività formativa, in modo diffuso accompagnando i territori a farlo e farlo bene. Continuare con l'esperienza degli animatori di comunità e farne anche esperienza di coinvolgimento e supporto con e per i territori. Coinvolgere chi ci chiede tutela e garantire un accompagnamento nelle fasi della vita nelle quali possiamo essere presenti per semplificare, sanare,
Le Acli si occupano di tantissime cose, il nostro modo di stare nella società ci impone di accompagnare i processi, di studiare i fenomeni sociali e dopodiché provare ad intervenire con azione sociale e proposte. Non mancano gli strumenti per poter operare anche se vanno rafforzati. Abbiamo la ricchezza di tante persone che lavorano per l'associazione e nonostante le fatiche che stanno passando (che ringrazio per il lavoro svolto), una causa del prolungarsi della CIG ormai da circa un anno, rappresentano una risorsa inestimabile. Guidati da sobrietà e nuove iniziative credo che nel giro di poco tempo potremo tornare a “ripensarci” ed essere una comunità di pensiero.

Per cambiare le Acli però dobbiamo recuperare una postura. Dobbiamo tornare ad essere donne e uomini che vivono la loro fragile condizione di cristiani nel mondo. Ci sono tre gesti che Gesù compie spesso e che più di mille parole ci possono rappresentare la postura di cui parlavo. Sono gesti che ci hanno accompagnato soprattutto nelle pagine del Vangelo di Marco di queste ultime domeniche. Gesù passa, sta in movimento. Il suo è un andare tra la gente, nelle strade del mondo. Il Vangelo non ci parla di un profeta che convoca ma di un uomo che cammina. Si impolvera i piedi, sale sulle montagne, attraversa deserti, entra nelle città. Non una fede che sta ferma ma una fede che è in continuo peregrinare, questo mi piacerebbe che ci caratterizzasse. Che non si parli di Acli di via Marcora o altro luogo fisso ma di Acli in movimento, in cammino, soprattutto verso le periferie esistenziali. Acli che corrono per ricucire fratture presenti nella società, le stesse che hanno spiegato tanto bene i nostri presentati congressuali.
L'altro grande insegnamento è quello di mettere al centro chi è ai margini. Perché il Signore percorre le strade e mette al centro chi incontra, chi gli chiede aiuto. Portare dai margini al centro della nostra azione le persone che siamo chiamate a servire, le tante povertà che incontriamo ea cui vogliamo dare voce. Per far questo non possiamo lasciare che le nostre buone intenzioni siano affidate ad un comunicato stampa ma dobbiamo saper farcene carico. Questo è un discrimine enorme, tra un'associazione che voglia fare la telecronaca del mondo o ne vuole essere coinvolta appieno.
E qui c'è un ultimo passaggio che ritengo essenziale: toccare i poveri, lasciarsi ferire, lasciarsi “disturbare” da loro. Gesù tocca l'infermo per guarirlo, tocca gli occhi per far tornare la vista e si fa toccare da un lebbroso per sanarlo. Lungi da noi pensare di fare miracoli, questa associazione si deve far ferire dalle passioni di questo mondo. Non deve stare lontana ma dentro le piaghe del vissuto. Farsi contaminare da questa umanità che diciamo di servire e di rappresentare. Lo dobbiamo per la credibilità delle nostre azioni, lo vogliamo per rendere vere, reali e pesanti le parole di denuncia che poi saremo chiamati a pronunciare. Solo un percorso di vera conversione comunitaria ci aiuterà a trovare la forza per ridare senso pieno alla nostra missione.

… E sarà più bello ritrovarsi!
le Acli di domani

“Amen” mi dice, e con lo sguardo serio mi interroga: “nini, quando mi fai riaprire il circolo?”. Presto dico io, molto presto e sarà più bello ritrovarsi!
Ecco, le Acli di domani le costruiremo insieme, comunque vada. Certo il periodo passato e le divisioni interne ognuno le giustifica come crede. Le tattiche sui regolamenti che hanno portato più lacerazioni che occasioni di confronto, prima o poi finiranno su un binario morto. Quello che conta è la volontà di questa assemblea congressuale e l'impegno che tutti metteremo per ritrovare la collegialità maggiore. Non sottovaluto i sentimenti di alcuni e la confusione che regna in altri. Dopo un anno di attese le Acli meritano di ripartire su basi concrete nel quotidiano. Le urgenze che abbiamo non possono più aspettare. Aver messo un'ulteriore fase di questo congresso a giugno è un dono che ci facciamo, un'ulteriore occasione per convocarci tutti e aprire vie rinnovate al nostro impegno. Oggi ho cercato di rappresentare una visione e un approccio alla nostra realtà che coinvolge e scuotere. Dobbiamo tutti essere consapevoli delle nostre difficoltà dei dirigenti: dobbiamo confessarci che la mediazione politica è stata sommersa dalla burocrazia e dai ricorsi, soffocata dal sospetto.
Vi chiedo perdono per tutte le mancanze e gli errori commessi. Perdono perché, per la mia parte, nonostante l'insistenza e le mie azioni, non sono riuscito a favorire la coesione nell'ultima presidenza.
Da parte mia ho lavorato a testa bassa per il Patronato e per rappresentare le Acli nei pochi spazi a disposizione. Ma questo non è il tempo di guardare indietro, la verifica politica se volevamo, poteva essere fatta. Questo è il tempo di riprendere a correre e accogliere le nostre migliori energie. Questo è il tempo per guardare alle Acli del futuro, nel quale ognuno è chiamato a fare la propria parte. Perché il mondo, la storia non ci aspetta, oggi siamo sotto pressione. Sapremo darci una nuova occasione?
Sotto pressione (Jhon Deacon, David Bowie)
Non possiamo darci un'altra possibilità?
Perché non possiamo osare all'amore quell'ultima possibilità?
Perché non possiamo dare amore, dare amore, dare amore, dare
amorePerché l'amore è una parola così antiquata
e l'amore ti sfida a prenderti cura delle persone al
limite della notte, e l'amore ti sfida a
cambiare il nostro modo di prenderci cura di noi stessi
Questo è il nostro ultimo ballo
Questo siamo noi stessi
Sotto pressione

Sotto pressione Non possiamo darci un'altra possibilità?
Perché non possiamo osare all'amore quest'ulteriore possibilità?
Perché non possiamo donare amore, donare amore, donare amore, donare amore,
Perché "amore" è una parola così fuori moda
E l'amore vi sfida a preoccuparvi per le persone che stanno
Sul bordo della notte, el '
Cambiare il nostro modo di preoccuparci per noi stessi
This è il nostro ultimo ballo
This siamo noi
Sotto pressione,
Sotto pressione.
Con stima e fiducia,


Emiliano